Teatro 2010/2011
Ricentrare l’attenzione sulla parola significa esercitare il proprio diritto di critica a un’epoca in cui la parola è avvilita, deturpata o sempre volontariamente equivocata; è il tentativo di riassegnare alla parola la sua funzione di esplorazione e conoscenza, per allontanarla dalle secche dell’ambiguità e della futilità dove è stata relegata; è la voglia di raccontare una realtà sempre più complessa, indecifrabile e delicata, attraverso l’occhio inquieto di una cronaca elevata a narrazione, o attraverso la visionarietà profonda dei grandi autori della tradizione classica e moderna.
Ecco allora che gli sguardi su fatti ed eventi della nostra contemporaneità lacerata, siano essi l’usura (M’arte), il razzismo (Celestini), un vile massacro di contadini in terra boliviana (Brie), il catalogo impazzito di inquietanti fatti della cronaca recente (Massini), la rievocazione di quella ferita non rimarginata che è la morte di Francesco Lorusso (Tassinari), si affiancano ai linguaggi personalissimi ma universali di autori-guida come Aristofane (Perrotta), Lessing (Vacis/ Binasco), Testori (Atir), Pinter (Teatrino Giullare). A questi si aggiunge la ricerca delle nuove scritture, da quella nervosa e cruda di Eleonora Danco a quella spiazzante e ironica degli Odemà, da quelle di giovani drammaturghe in cerca di affermazione (il progetto Sonde della scrittura contemporanea) a quelle affermate di drammaturghi di statura europea (Visniec e Notte).
Le parole, dunque. Parole come nuclei di senso, come cuori pulsanti di una ricerca irriducibile di verità: la nostra piccola sovversione ai tempi correnti.